ALLA MIA MIMÌ…

La prima Opera Lirica alla quale ho assistito è stata Boheme, di Giacomo Puccini.
1967 Teatro Comunale di Treviso, Autunno Musicale Trevigiano; una mamma con due bambini chiese in biglietteria del teatro se fosse possibile assistere alla mattinèe, se c’erano posti disponibili. Internet non esisteva ed andare a Teatro non era una noiosa alternativa offerta dal Web tra mille possibilità e così dovevi fisicamente andare lì e sperare in un “last minute”, a qualche rinuncia o chissà cosa perché per l’Autunno Musicale la gente si metteva in fila fin dall’alba per poter sperare in qualche palco o sedia o loggione…”Un adulto e due bambini”…7 e 11…”Signora, il Teatro è pieno…”…”capisco…” beh, grazie lo stesso!” Forse sarà stato il sorriso rassegnato della donna che teneva i due bambini stretti per mano o i pantaloncini corti e giacca e cravatta dei due piccoli ad intenerire una maschera che, avvicinandosi a mia madre le disse di seguirla senza fare il biglietto, confortata anche dal cenno d’intesa dell’uomo alla cassa del botteghino. Le spiegò che c’era un signore anziano, distinto, che occupava da solo un palco da 4 posti per tutta la stagione, a volte neppure andava e così piazzavano qualche occasionale come noi…seguimmo l’inserviente in silenzio tra gli intricati corridoi del Teatro ed io ero rapito dai gessi, i lampadari, le luci soffuse ed una certa confusione che precedeva il campanello di chiamata. Era tutto uno scambiarsi strette di mano, presentazioni, risatine e convenevoli tipici di quella sonnecchiosa cittadina provinciale viziata così bene descritta poi da “Signore e Signori”…tutto mi sembrava enorme…poi la porta…un rapido bussare e la risposta “Prego!” che avvertii come un brutto presagio: “Perché mai avrebbe dovuto ospitarci quel signore distinto, non si sarebbe certo fatto intimidire dai miei calzoni corti, giacca, cravatta e capelli leccati con riga in parte!!!” …la maschera sparì dopo averci chiesto cortesemente di aspettare…fu questione di attimi e riapparve sull’uscio con un sorriso e l’occhiolino che voleva dire, “fatta!!!”. Il Cavaliere è felice di poter ospitarvi…poi mi guardò con uno sguardo severo:”Ti…me racomando!” e mi spinse dentro gentilmente stringendomi le gote tra due dita…poi la porta si chiuse…
Ciò che vidi davanti a me, prima ancora di approssimarmi al parapetto, mi tolse il fiato; era un rincorrersi di colori, ori, velluti, cornici e lampadari preziosi che pendevano da un soffitto affrescato…tutt’intorno palchi, palchi, palchi, come finestre di una palazzina affacciate sull’aia che scorsi appena mi affacciai in punta di piedi al velluto del parapetto; sedie rosse bellissime dove erano sedute decine di persone…anche loro, i maschietti, giacca e cravatta, leccata di vacca in testa e riga che però partiva troppo più in basso della mia oppure i più fortunati, ce l’avevano centrale…niente calzoni corti…
“Buonasera signorino, come si chiama?”
Tornai sulla terra a queste parole e divenni rosso come un peperone perché ero timidissimo, quasi come ora, e sapevo di essere stato scortese col nostro ospite ma l’emozione e la novità avevano avuto il sopravvento.
“Andrea come mio nonno!” rispondevo sempre così, anticipando il rituale “come chi?” di mia mamma…
Il Cavaliere era un uomo minuto, distinto veramente e gentilissimo, una di quelle persone alle quali voglio somigliare quando e se avrò ottant’anni come lui, mese più mese meno…era seduto sulla sedia posando le mani magre sul pomolo di un bastone e sulle mani posava la testa di sguincio; aveva gli occhi vivi, splendidi come quelli di Andrea che però conoscevo solo dalle foto ricordo…erano sguardi marziali ma sinceri, onesti e rassicuranti…
Ci chiese un mucchio di cose complimentandosi con mia mamma per la scelta di portarci a Teatro e farci conoscere già da piccoli questa forma d’Arte straordinaria e poi mi ricordo che guardò me e mio fratello e con orgoglio ci disse:”Boheme è la mia Opera preferita…”; gli occhi gli divennero lucidi mentre ne parlava e ci disse di non preoccuparci se l’avessimo visto piangere! …piangere??? Perché si dovrebbe piangere ad una festa, pensai mentre il mio sguardo era fisso sul sipario rosso che chiudeva la scena mentre l’Orchestra prendeva posto in buca, le luci del Teatro si abbassavano evidenziando la fioca luce dei leggii dei maestri che in un frastuono che non conoscevo cominciavano ad accordare. Buio…entra il direttore tra gli applausi…poi silenzio irreale e quel suono ovattato degli archi che non avrei mai più dimenticato…il nostro ospite era sempre appoggiato al pomolo del bastone e di tanto in tanto mi spiegava di Mimì, Musetta, Marcello e Rodolfo…mi disse soprattutto: “Stai attento a quella cuffietta rosa…” lui poi sparì tra le note e le emozioni di quel capolovaro pucciniano ed io non gli staccavo gli occhi di dosso perché volevo vedere se piangesse davvero come diceva…l’Opera mi portò via con la sua spensieratezza bohemiene e con la descrizione degli attori, una combriccola di artisti sfaccendati e squattrinati che si godevano Parigi mentre la povera Mimì, Lucia, intesseva fiori di stoffa…come mi piacerebbe che i bambini di sette anni incontrassero Mimì, Rodolfo, Musetta e Marcello ed i loro strampalati compari assieme al nonnino con la testa posata sulle mani sul pomolo del bastone…un poeta, un pittore, una sciantosa ed una fioraia…
Già, una fioraia sfortunata e malata senza il conforto di un po’ di calore nel freddo inverno parigino…mi faceva tanta pena e non capivo perché poi ad un tratto l’Opera perdesse i suoi colori e virasse al grigio triste e malinconico di ciò che io non avevo mai considerato:”La morte!” Ritrovai Mimì in un lettino circondata dagli amici che si prodigavano per donarle un po’ di conforto anche a costo di vendere oggetti per comprare del cordiale o garantirle un dottore. Ora se n’erano andati tutti e rimanevano soli Mimì e Rodolfo in un ripercorrere le arie bellissime che avevano accompagnato la loro storia ed il loro amore, piccoli accenni che annunciavano una fine triste ma, capii poi la grandezza di Puccini, delicata, rispettosa del dolore…saltò fuori la cuffietta rosa a suggellare un amore mai smarrito,  solo deviato dal dolore…”Cos’è questo silenzio, questo andare e venire…” (e mentre scrivo ho i brividi di quel pomeriggio), parole che suonarono come una cannonata nel mio cervello di bambino e che istintivamente mi fecero girare lo sguardo per incontrare gli occhi del distinto gentiluomo che piangeva in silenzio con la testa appoggiata sul bastone mentre un dolce pieno d’orchestra accompagnava il dolore di Rodolfo straziato che urlava il nome del suo amore: “Mimì”…
Questo è stato il mio incontro con la Musica Classica e l’Opera Lirica, un incontro che ha cambiato per sempre la mia vita segnandola in modo indelebile e se qualcuno ancora non capisce perché Gli Orkestrani facciano Musica Classica…beh, questo sicuramente è uno dei motivi determinanti.

  • Ho scelto questa romanza perché mi piace particolarmente per la gentilezza e la bellezza di una galanteria che spero gli uomini tornino a considerare l’unico modo di avvicinare una donna!

A tutte le Mimì del mondo!

Andrea

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